Il ruolo del mental coach. Con Celestino Natale

18.04.2018

Il coaching non è terapia: il mental coach è un professionista che con le sue competenze può aiutare il proprio cliente a fare la differenza, o meglio, a essere la differenza. Nel coaching sportivo si definisce la triade della big performance quel giusto equilibrio tra preparazione atletica, tecnica e mentale: trovandolo si raggiunge l’eccellenza e per farlo si deve dare a ogni ambito la stessa importanza. Lo scopo di questo lavoro è quello di permettere a uno sportivo di riuscire a offrire il massimo delle proprie capacità.

Lo stesso concetto si può rappresentare con un’equazione: prestazione = potenziale – interferenza. In questo caso il coach cerca di aumentare il potenziale dell’atleta e contemporaneamente cerca di ridurre l’interferenza, facendola tendere allo zero. Così, la prestazione può avvicinarsi al massimo. Il lavoro del coach sportivo è fondamentale quando c’è un gap tra potenziale e rendimento, oppure quando la prestazione differisce molto tra allenamento e partita, o tra parti della stessa gara; in più può lavorare nel recupero degli infortuni, perché è importante che la vita dell’atleta in una fase delicata come quella del recupero sia seguita a livello mentale. Il coach si prende cura della persona a tutto tondo e cerca di stabilire un rapporto personale che permetta di entrare in relazione con l’atleta per rendere più efficace il trattamento. Ognuno ha i suoi strumenti: Io ho vari master in PNL (programmazione neurolinguistica) e quindi mi occupo molto di quella; la linguistica ci permette di percepire nella migliore maniera possibile quello che sta accadendo, le emozioni che si provano e permette di rimanere centrati sul cuore del problema e poi da lì si possono creare obiettivi personali e sportivi.  

È la prima volta che ho una esperienza con una squadra di basket e per me è fantastico: mi piace lavorare in uno staff, perché sono anche un Project manager e un coordinatore e queste sono cose su cui ho studiato molto. Lavorare in uno staff è bello perché si condividono le competenze e si mettono in relazione. Qui riusciamo a farlo in un ambiente ricettivo e possiamo sommare le qualità di tutti. Grazie all’accoglienza dello staff tecnico e alla fiducia della squadra e della società, sono entrato in relazione con i ragazzi e a loro ho portato il mio essere, la mia passione, la mia voglia di lottare fino all’ultimo secondo. In questo momento, oltre al basket, mi occupo di pattinaggio a livello professionistico, di danza, di musica, di nuoto; lavoro negli sport equestri e lavoro tanto con il calcio, sia con giocatori di A, B e Lega Pro che con profili interessanti nei settori giovanili più importanti d’Italia.

È un lavoro che ho sempre fatto: da 27 anni faccio l’educatore, sono diventato nel corso del tempo un coordinatore educativo ed è quello che ho sempre voluto fare: lavorare con le persone, vedere la luce nei loro occhi fino a farla diventare più grande, rimotivando o trovando la lettura giusta di ciò che sta accadendo; dare le giuste dimensioni ai problemi e riportare la persona nelle giuste condizioni aiuta le persone a mettersi in moto e guadagnare quel centimetro dopo centimetro in allenamento (anzi, a me piace chiamarlo miglioramento). Vedere questi progressi per me è fantastico, è vita vera. Lo sport è quel momento in cui tu dai il massimo per ottenere il massimo; lo sport è meritocratico, è un’esperienza che tutti i ragazzi dovrebbero fare per formare i propri valori e la propria identità, confrontandosi con sé stessi e con i propri limiti. I limiti devono esserci, perché sono quelli che ci definiscono, ma questi limiti poi vanno trasformati in opportunità ponendosi una sfida. Una parola che può schiacciarti diventa una parola che ti esalta e che ti fa andare oltre. Questo è quello che mi piace: trasmettere grinta e perseveranza, e anzi questa è parola chiave più importante, perché per ottenere qualcosa nella vita serve proprio la perseveranza. Alzarsi la mattina, avere un obiettivo, progettare la propria giornata: così si raggiunge il massimo.

Se parli con un atleta e gli chiedi “quanta importanza ha l’aspetto mentale nella tua prestazione?” lui si spinge a dire che conta il 60-70% del totale e ti rivela che, per lui, scendere in campo con la testa giusta fa la differenza. Però poi molte squadre si allenano tanto fisicamente e tanto tecnicamente, ma non allenano la mente. Perché non si fa? È vero che l’allenatore e il preparatore lo fanno, nella programmazione settimanale, ma ritengo che l’ausilio di uno specialista, con le sue competenze, possa giovare tantissimo. Ora iniziano i playoff, dove non si gioca più una volta a settimana ma si gioca ogni due giorni e il mental coach può aiutare anche nel recupero dalla fatica: è la serenità, quella del guerriero che torna dalla battaglia sapendo di aver onorato la propria maglia e difeso la sua terra, quell’elemento che ti fa recuperare le energie, che toglie le contratture interne, che fa affrontare con la calma giusta quello che accade, senza riportare le tensioni sul proprio corpo. Il recupero dagli impegni ravvicinati e la capacità di focalizzarsi sugli obiettivi è un lavoro che può essere fatto da un professionista della mente, sia in una squadra giovane e che ben si sta comportando come la nostra, sia in altre realtà.

A cura di Vincenzo De Fanis – Ufficio Stampa Amatori Basket

 

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